I Talenti in genere sono ritenuti da tutti un dono, un’abilità naturale che si è ricevuta fin dalla nascita, una dote forte, ben definita e specifica, é per alcuni, pochi, gli eletti.
Ma è davvero cosi? I grandi atleti, i grandi artisti, gli scienziati, i grandi imprenditori, gli inventori hanno davvero queste abilità così spinte fin dalla nascita?
Prendiamo ad esempio i grandi atleti, essi sicuramente hanno qualità e struttura fisica particolarmente adatte alle discipline sportive, tuttavia non è raro il caso di persone che da giovani mostrano caratteristiche fisiche atletiche superiori alla norma e non hanno raggiunto successi importanti.
Osservando bene gli atleti che raggiungono prestazioni eccezionali notiamo che essi lavorano sulla loro abilità, o meglio, sulla loro passione dedicandovi molte ore delle loro giornate. Pietro Mennea, ormai completata la sua carriera sportiva, disse in un’intervista che per raggiunger i suoi livelli, si era allenato 5 ore al giorno per 360 giorni all’anno per 20 anni e, aggiunse, che se avesse potuto tornare indietro si sarebbe allenato 8 ore al giorno per tutti quei giorni e quegli anni. Timothy Ferris nel suo libro “il Segreto dei giganti” afferma che i più noti atleti, imprenditori, manager, medici, scienziati spesso sono partiti proprio da una grande loro difficoltà e volendola superare a tutti i costi sono poi diventati dei talenti straordinari proprio su ciò che prima era un loro “trouble”.
Facendo un paragone con le nostre qualità, in effetti anche noi quando ci impegniamo con dedizione riusciamo a superare le nostre prestazioni raggiungendo anche dei buoni risultati, tuttavia non arriviamo all’eccellenza dei performers.
Allora sembrerebbe esistere davvero il talento naturale?
Dove risiede la differenza tra noi e i grandi Talenti?
Studiosi, psicologi e sociologi che hanno studiato a lungo centinaia di talenti sportivi, artisti o scienziati sostengono che non esiste il talento naturale cioè il “dono” gratuito capitato senza intervento.
Infatti gli psicologi hanno osservato che ogni atleta nelle innumerevoli ore di allenamento persegue un obiettivo, cerca un risultato migliore, desidera crescere costantemente, di giorno in giorno. Porsi obiettivi progressivamente sempre più sfidanti è la sua impostazione mentale.
Gli scienziati sostengono che il talento si costruisce, non è un dono “capitato”, arrivato dal nulla. Ray Allen, il migliore tiratore da 3 punti nella storia dell’NBA (National Basketball Association, la maggiore lega professionistica di pallacanestro in Usa) riferì in un’intervista: “Quando dicono che Dio mi ha donato un tiro in sospensione perfetto, vado su tutte le furie e ribatto: non sminuire l’impegno che ci metto ogni giorno. Non un giorno sì e uno no: ogni santo giorno. Chiedete a chiunque sia stato in squadra con me, chiedete chi si allenasse di più…”.
Lo psicologo Anders Ericsson con i suoi colleghi, studiando i musicisti della Accademia Musicale di Berlino, dedusse che non riuscì a trovare un solo musicista “dotato per natura”, giunto cioè ai massimi livelli di performance esercitandosi solo per una porzione di tempo rispetto agli altri .
Ericsson dedusse anche che non bastavano i 10 o 20 anni di impegno, i grandi esecutori si erano dotati anche di un metodo, quello che ha chiamato “pratica deliberata” o intenzionale, nel quale ci sono successivi obiettivi di miglioramento e monitoraggio continuo sui propri progressi. Ogni campione ha un programma per sviluppare le proprie prestazioni, lo ricerca, lo amplia, lo arricchisce, non si distrae. Ha un progetto di obiettivi crescenti da raggiungere.
Gli scienziati hanno quindi rilevato due grandi aspetti comuni a tutti i performers:
- Il grande impegno profuso nel perseguire un piano di crescita tramite un programma ben definito
-
L’ atteggiamento mentale di continua sfida nel superare difficoltà crescenti e raggiungere risultati sempre più alti.
Da ciò ne deriva la considerazione che la credenza del talento-dono ha delle implicazioni limitanti molto serie, infatti, se le abilità sono un dono, facilmente deduciamo che o le hai o non le potrai mai avere. Questo pensiero fortemente limitante, ci autorizza dunque a non impegnarci nello sviluppo delle nostre capacità, ci esonera dall’applicarci, e costituisce una gabbia per le nostre potenzialità.
Come fare per uscire da questo impasse?
La Scienza del sé, basandosi sugli studi delle neuroscienze che indicano il cervello umano come l’organo in assoluto più plastico, in grado di apprendere e sviluppare capacità a qualunque età, ci propone un’indagine sulle abilità personali. Ci guida nell’individuare quelle doti naturali che nella nostra esperienza di vita non abbiamo notato o abbiamo sottovalutato e quindi nel tempo le abbiamo trascurate a tal punto da averle dimenticate. La Sds, con il suo metodo, ci sprona quindi a rivalutare il nostro potenziale e a riappropriarci di quelle abilità per farne una nostra fonte di soddisfazione e appagamento.
Tanto più sarà la passione che vi dedicheremo, tanto più grandi saranno i successi raggiunti.
Un semplice metodo per ritrovare i nostri talenti sommersi consiste nello scrivere in un quaderno, quali sono le attività che ci risultano naturali, agevoli; segnatevi anche i comportamenti che avete con le persone e che vi sono facili, nei quali vi soffermate con piacere. Provate a chiedere anche a chi vi conosce bene, ai vostri famigliari e agli amici quali talenti o abilità vi riconoscono. Fatene un elenco e provate a ricordare se anche da piccoli possedevate tali capacità. Ne scoprirete varie.
Per ciascuna abilità domandatevi come potete sviluppare o incrementare queste vostre ricchezze, ponetevi dei piccoli obiettivi e quando li avrete raggiunti domandatevi come vi sentite. Siete soddisfatti? Vi sentite migliori? Cosa è nato in voi?
Un pensiero costante vi guiderà: i talenti non si giudicano, i talenti si alimentano!